Il Palafijlkam è una prigione. La mia sensazione per tutta la durata della gara. Dopo aver presentato documenti, autodichiarazioni e visti sanitari e averci fatto attendere fuori al freddo, ci fanno passare, non prima però delle immancabili raccomazioni di camminare, come i prigionieri penso io, in fila indiana. - Si sieda, alzi la testa - e senza tante cerimonie ci testano ancora. - Bene ora si sieda lì e aspetti, no lì, si sieda a destra, lì si siedono gli atleti - con rammarico penso che la dottoressa non distingue la destra dalla sinistra, ma non dico niente. - Dovete tenere le mascherine - che nella mia mente assomiglia tanto a - non si parla tra detenuti -. Urlano il mio nome - può andare. Faccio un passo - no, non da quella parte. Sono appena entrato e vorrei già evadere. Guardo per terra, i ragazzi si devono anche spogliare e pesare e non posso fare a meno di associarlo di nuovo al carcere. - Avanti, da quella parte. Un corridoio e tutte le porte chiuse per non sbagliare e ad ogni angolo un addetto che ci guarda e indica dove andare. Ed eccoci qui rinchiusi nel settore riservato ad atleti e tecnici. Mi alzo e subito - dove state andando. Non so cosa rispondere, perchè mai alla mia età dovrei dire a qualcuno che devo andare al bagno. Sono già scocciato e rispondo male. Mi siedo di nuovo. Abbiamo scordato le protezioni in auto. - Bhe dai, ce le facciamo portare. Ma non si può entrare, ma non si può uscire. Internet non prende e non esiste wifi. Telefoniamo e qualcuno ci passa le nostre cose sopra le transenne che ci separano dai nostri amici e familiari. Finalmente ci mandano in sala riscaldamento. Anche lì ogni tanto qualcuno ripete le solite regole che tanto non si possono rispettare per una gara di karate. Pensiamo alla gara. Ma è difficile staccare la mente. Tocca a noi, ci chiamano, - la mascherina, mi raccomando la mascherina . Aspettiamo ancora. Ci chiamano di nuovo. - Restate nei paraggi, per andare dovete mettere la mascherina mi raccomando. Ci chiamano ancora, - mettetevi qui. E’ ora, - andate, dritti e poi a sinistra. Arriviamo, ci spruzzano addosso qualcosa. Mi parlano in due, - chi siete, mettetevi là, tenete la mascherina mi raccomando. Mi siedo e penso a tutte le volte che in tanti anni mi hanno chiesto perchè faccio tutto questo e a come, con un sorriso sincero, ho sempre risposto che mi diverte un sacco. Ora non riesco a sorridere. Tra dieci secondi è il nostro turno. Mi guardo intorno e dico tra me, - anche il mondo là fuori sta diventando una prigione. Tre secondi, mi alzo, - ehi dai Niccolò. Qualcuno da distante agita le braccia in aria e con gesti ampi indica di sistemare meglio la mascherina, metto la mano sul viso, la mascherina è a posto, probabilmente era qualcun’altro. L’arbitro dà il via con un gesto delle braccia...